25 aprile: la memoria non è un rito, è un’eredità viva.

Newsletter della settimana

Domani celebreremo il 25 aprile in tutta Italia, così come lo faremo nelle nostre terre, che tanto hanno dato alla causa della liberazione. Dai tanti Comuni con le loro iniziative istituzionali fino a Casa Cervi, che rappresenta per chi vive qui la culla della Resistenza e della democrazia. Un luogo simbolico, al pari di Monte Sole o Sant’Anna di Stazzema, dove si è costruita l’Italia repubblicana e dove affondano le radici della nostra identità.

Quella di domani sarà una celebrazione importante: l’ottantesimo anniversario della Liberazione. Un tempo lontano, che ci ha permesso, grazie a una lotta coraggiosa e necessaria, di vivere per ottant’anni in una Repubblica libera, democratica, e soprattutto in pace. Ottant’anni sono più di una vita: generazioni intere non hanno mai conosciuto la guerra. Ma con il passare del tempo, abbiamo quasi completamente perso la memoria diretta di chi ha vissuto quegli anni. Di chi, da un monte, da una campagna, da uno dei tanti luoghi simbolo della Resistenza, da Cervarolo a Tapignola, da Fabbrico a tanti altri luoghi, ha combattuto perché noi potessimo vivere liberi.

Abbiamo perso quella memoria fisica, umana, ma non possiamo permetterci di perdere la memoria collettiva. Al contrario, oggi più che mai siamo noi i portatori di quella memoria. E portarla con responsabilità significa trasformare ogni celebrazione in un’occasione culturale, in un momento capace di innestare nelle comunità i valori e gli ideali che hanno reso possibile la libertà in cui viviamo.


E c’è un pericolo che oggi ci riguarda da vicino: l’indifferenza. L’indifferenza è la malattia silenziosa delle democrazie. È il terreno fertile su cui può attecchire tutto ciò che la Resistenza ha combattuto: il disinteresse, la rassegnazione, la delega cieca, fino all’accettazione passiva di derive autoritarie. Una comunità che smette di indignarsi, che smette di ricordare, che smette di educare, è una comunità che rischia di smettere anche di esistere come corpo vivo e cosciente.

Questa riflessione oggi si intreccia con un momento di lutto che riguarda non solo la Chiesa, ma il mondo intero: la scomparsa di Papa Francesco. Non un legame diretto, certo, ma un segno dei tempi. Un tempo che ci chiama alla “sobrietà”, sì, ma non all’abbassamento del significato. Perché chi ci chiede di non vivere il 25 aprile come se fosse un happy hour, un concerto, una festa di ballo, evidentemente non ne ha mai capito davvero il valore.

E non stupisce che questo invito arrivi da un governo i cui massimi esponenti non hanno mai davvero celebrato il 25 aprile e hanno sempre faticato a riconoscerne la portata storica, civile, culturale. Provando inoltre a svuotarlo di senso, tentando di trasformarlo in una ricorrenza come le altre. Ma il 25 aprile non è una data tra le altre: è la radice della nostra Repubblica.

Quindi, se sobrietà dev’essere, che sia quella che si deve a una figura come Papa Francesco, non quella imposta da chi questa festa non l’ha mai riconosciuta fino in fondo.

Celebreremo il 25 aprile con rispetto, con memoria, con la consapevolezza di essere eredi di una storia che ha cambiato il volto del nostro Paese. Una storia che continua a parlarci, oggi più che mai.


Spettacolo teatrale: “Cuori di terra” memoria per i 7 fratelli Cervi. Questa sera al Teatro De André a Casalgrande in occasione dei 15 anni della Fondazione Casalgrande Enrico Berlinguer.

Ho portato l’ultimo saluto a Papa Francesco. Dal Sagrato di Bologna alla Basilica di San Pietro un’unica eredità.

Saman Abbas non tornerà. La Corte d’Appello ha riconosciuto le aggravanti: futili motivi e premeditazione confermando la responsabilità dell’intera famiglia.

Grazie di tutto: Carla Rinaldi figura davvero impagabile di grande spessore internazionale amata e riconosciuta nel mondo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *