Il contesto economico italiano dall’automotive all’agroalimentare subirà un preoccupante contraccolpo dalla politica dei Dazi di Trump

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In questi giorni torna prepotentemente al centro del dibattito la questione dei dazi e delle tensioni commerciali tra le grandi potenze mondiali. Gli Stati Uniti stanno rivedendo la loro politica tariffaria, e la Cina risponde con misure speculari. 

A farne le spese, come sempre, sono gli equilibri economici internazionali e, in modo sempre più evidente, le economie locali. È una nuova fase della guerra commerciale, che sembra riportarci a tornanti storici già vissuti, ma con strumenti e conseguenze diverse.


Anche l’Europa rischia di restare schiacciata tra questi due blocchi. E l’Italia, priva di una strategia autonoma, si trova ancora una volta a rincorrere gli eventi. La reazione del governo è apparsa, ancora una volta, tardiva e insufficiente. Nessuna presa di posizione forte in sede europea, nessuna difesa concreta delle nostre filiere produttive, nessuna proposta di sistema.


Eppure è chiaro a tutti che le conseguenze dei nuovi dazi, inspiegabilmente fissati da Trump al 20%, potrebbero colpire settori chiave del nostro Paese, come l’export agroalimentare, già messo in difficoltà dall’instabilità geopolitica e dalla concorrenza sleale. Ma non solo: a rischio c’è anche il comparto dell’automotive, che rappresenta un asse portante della manifattura industriale italiana. Le nuove misure tariffarie rischiano di compromettere gravemente competitività, export e occupazione, con ricadute su tutta la filiera produttiva.


In Emilia-Romagna, che da sola rappresenta il 16,2% dell’intero export italiano verso gli Stati Uniti (pari a 10,5 miliardi di euro), l’impatto rischia di essere particolarmente pesante. L’export verso gli USA rappresenta il 12,5% del totale regionale, una quota che dà la misura della vulnerabilità del nostro sistema produttivo rispetto a queste tensioni. Sono coinvolte circa 6.000 imprese, e si stima che l’aumento del costo dell’export possa arrivare fino a 2,7 miliardi: numeri che parlano da soli.


Nel nostro territorio, le prime avvisaglie si fanno già sentire. Piccole e medie imprese agricole ci segnalano difficoltà crescenti nell’accedere ai mercati esteri e nell’ottenere condizioni competitive. Le eccellenze locali rischiano di perdere terreno non per mancanza di qualità o innovazione, ma per colpa di un contesto internazionale instabile e di un governo incapace di rappresentare e difendere il lavoro italiano.


L’agricoltura, in particolare, è tra i comparti più esposti. Il sistema agricolo italiano, fatto di produzioni di qualità, filiere corte e legame con il territorio, è strutturalmente più vulnerabile a ogni squilibrio esterno. I rincari sulle materie prime, le difficoltà logistiche e l’incertezza dei mercati internazionali si sommano a problemi cronici mai risolti: accesso al credito, carenza di manodopera, burocrazia inefficiente. Il risultato è che tanti produttori oggi si sentono soli e sotto attacco, senza alcuna garanzia né tutela.


Occorre una svolta. Serve una politica commerciale europea più autonoma e capace di dialogare con tutti i blocchi mondiali senza subalternità. Serve, soprattutto, un governo nazionale che sappia difendere gli interessi dei territori, che ascolti le imprese, che agisca per tempo. In questo senso, suona quanto mai attuale e necessario il richiamo del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla necessità di una reazione “serena, compatta e determinata” da parte dell’Europa. È un invito alla responsabilità che va raccolto con urgenza, per difendere il nostro sistema produttivo e il futuro del lavoro nel nostro Paese.


Non possiamo restare fermi mentre la storia cambia direzione. Perché ogni tornante non affrontato oggi si trasformerà in una salita ripidissima domani, tutta a carico delle nostre comunità.

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