FORZA EUROPA. Pace e sicurezza non sono concetti opposti, ci vuole una difesa comune.

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Si può affrontare un dibattito estremamente importante, un passaggio che può segnare la storia di un partito, senza che questo venga ridotto a una disputa sulla leadership? Io penso di sì. Perché il tema di oggi per quanto mi riguarda non è una conta interna e neanche rimettere in discussione il risultato di un congresso che si è chiuso da due anni esatti. 

È qualcosa di molto più grande, che appartiene al modo di stare insieme di una vera comunità democratica come il nostro partito – che non trova molti simili – capace di discutere, di interrogarsi, di leggere il tempo storico in cui si trova, di dare risposte all’altezza della sfida, e di fare sintesi anche partendo da posizioni diverse.

E il tempo che viviamo è un tempo nuovo. Non è il tempo delle curve dei tifosi, non è il tempo del bianco contro il nero, non è il tempo delle semplificazioni. Il mondo sta cambiando con una rapidità che fino a ieri sarebbe stata impensabile. Quel sistema multilaterale che garantiva un equilibrio oggi non c’è più. Hanno ripreso quota le pretese territoriali. L’Europa rischia di essere schiacciata tra potenze che giocano partite sempre più aggressive. L’ombrello di sicurezza che per decenni ha protetto il nostro continente e ha garantito pace, stabilità e crescita, oggi non è più una certezza. L’America ha fatto una scelta: ha scelto di guardare altrove, ha scelto di rivedere il suo ruolo, e oggi l’Europa si trova di fronte a una responsabilità storica.

E come ha detto Romano Prodi: “L’Europa reagisce dinanzi al pericolo e propone un piano per la propria salvaguardia”. Questo è il nodo della questione. Non si tratta di aderire a una logica di riarmo (termine che non condivido) fine a sé stessa. Non si tratta di accettare un destino già scritto. Si tratta di assumersi la responsabilità di costruire un percorso che permetta all’Europa di camminare sulle proprie gambe. Si tratta di essere protagonisti della nostra storia, invece che subirla.

Ragioni per cui questa discussione non può essere banalizzata da chi vuole dividerci in schieramenti precostituiti, tra chi vuole la pace e chi vorrebbe la guerra. No. Il tema vero è un altro: come si garantisce la pace? Quali strumenti servono per proteggerla? Chi oggi semplifica il dibattito e accusa chi crede nella necessità di una difesa comune europea di essere bellicista, non fa che inquinare una discussione che dovrebbe essere la più alta possibile.

La verità è che pace e sicurezza non sono due concetti opposti, ma due facce della stessa medaglia. Garantire la pace significa mettere in campo politiche che rafforzino il ruolo dell’Europa, che le diano la capacità di difendere il proprio modello sociale, il proprio benessere, il proprio futuro. Ed è per questo che l’idea di una difesa comune europea è ampiamente condivisa: non c’è dubbio che l’Europa debba assumersi questa responsabilità e questo potrebbe essere il momento di un passo decisivo. Tuttavia, questo non significa accettare acriticamente ogni proposta, perché seppur il piano della Commissione Europea, delineato da Ursula von der Leyen, può rappresentare un passo nella giusta direzione, lo stesso come sottolineato da diversi esponenti del PD non è privo di punti critici. Servirà un confronto serio per evitare che un progetto necessario venga appesantito da scelte che rischiano di essere inefficaci o sbilanciate.

Investire in difesa oggi non significa solo parlare di armi. Significa investire in tecnologia, in innovazione, in ricerca, in cybersicurezza. Significa proteggere le infrastrutture strategiche, garantire la sicurezza energetica, costruire un sistema che renda l’Europa meno dipendente e più autonoma. Significa, soprattutto, non lasciare che siano altri a decidere per noi.

Per questo il Partito Democratico ha il dovere di affrontare questa discussione con serietà, senza paura, senza farsi trascinare in letture semplificate che non aiutano nessuno. Lo abbiamo sempre fatto, e dobbiamo continuare a farlo se vogliamo ambire a tornare a essere una forza credibile per il Governo del nostro Paese. Perché il mondo cambia, e noi dobbiamo essere all’altezza di interpretarlo.

P.S.: In questa riflessione ho parlato di quello che mi sta a cuore, cioè del mio partito, in cui troppo spesso si parla di divisioni invece di utilizzare il termine di pluralità di pensiero. Al tempo stesso, vorrei evidenziare che non si sottolinea mai abbastanza forza che i due partiti più importanti che sostengono il governo Meloni, Fratelli d’Italia e Lega, entrambe forze di governo, sulla politica estera si trovano su due posizioni diverse e distanti. Perché tale diversità non viene fatta pesare? Perché prevale sempre il pregiudizio nei confronti del Partito Democratico e della sua assenza di omogeneità interna?

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